Crema, 11 agosto 2019

Castrazione chimica, torna d'attualità parlarne dopo fatti che impressionano l'opinione pubblica e che coinvolgono la sfera sessuale. Ecco che cos'è, come funziona, in quali Paesi si applica.

La castrazione chimica consiste nella somministrazione di ormoni che inibiscono la produzione del testosterone da parte dei testicoli. All'inizio il farmaco inibitore venne sperimentato su 40 soggetti che riportarono un minor desiderio di comportamenti devianti, fantasie sessuali meno frequenti e un maggior autocontrollo, senza apparenti effetti collaterali: di conseguenza, il composto venne ritenuto valido. Non di rado al farmaco si accompagna la somministrazione di psicofarmaci normalmente utilizzati per il trattamento di patologie psichiatriche, che inibiscono l’azione della dopamina e, in generale, sopprimono la libido.

La castrazione chimica provoca profondi cambiamenti fisici, e a cascata anche psicologici. In particolare (oltre, ovviamente, alla soppressione della libido e all’impossibilità di ottenere un’erezione), il trattamento provoca una diminuzione dei peli sul corpo e un aumento dell’adipe su fianchi, cosce e mammelle. L’aumento del grasso corporeo, tra l’altro, espone a un maggior rischio di soffrire di malattie cardiovascolari e diabete e accresce l’insorgenza di osteoporosi. Se somministrati, gli psicofarmaci possono spegnere, oltre al desiderio sessuale, anche altri impulsi e stimoli. Parlando di effetti collaterali, è opportuno citare la proposta di legge 272 del 2018, presentata il 17 dicembre scorso dal ministro della Giustizia (e poi ritirato dai parlamentari della Lega perché “non previsto nel contratto di Governo”), in cui si parlava di un “trattamento farmacologico di blocco androgenico totale attraverso la somministrazione di farmaci di tipo agonista dell’ormone di rilascio dell’ormone luteinizzante (Lhrh), ovvero di metodi chimici o farmaci equivalenti”. Un trattamento che, dice l’Agenzia Italiana del Farmaco, è riservato alla cura di malattie di natura tumorale (carcinoma della prostata, carcinoma della mammella, fibromi uterini) e che ha, tra gli effetti collaterali, riduzione della massa muscolare, effetti negativi sul metabolismo osseo e anemia. Non proprio cose da niente, insomma.

In teoria, due-tre mesi dopo la soppressione del farmaco, il testosterone dovrebbe tornare a livelli normali. Tuttavia, è possibile che il desiderio sessuale non sia più quello di prima. Non è detto che, terminati gli effetti della castrazione, il soggetto non sia più recidivo. Anche perché gli impulsi sessuali non dipendono soltanto dal testosterone, ma anche a fattori biologici e psicologici. E in qualche caso ridurre il testosterone potrebbe essere addirittura controproducente: messo nell’impossibilità di avere un rapporto sessuale, il soggetto potrebbe comunque cercare di soddisfare il bisogno di esercitare la propria forza e il proprio potere adottando comportamenti violenti e ugualmente pericolosi.

Attualmente, la castrazione chimica è prevista in alcuni stati degli Stati Uniti d’America e (in modo estremamente limitato e subordinato al consenso del condannato) in Svezia, Finlandia, Germania, Danimarca, Norvegia, Belgio e Francia. C’è da dire, però, che l’Assemblea parlamentare del Consiglio Europeo si è espressa sulla questione con termini che lasciano poco spazio all’ambiguità: “Nessuna pratica coercitiva di sterilizzazione o castrazione può essere considerata legittima nel ventunesimo secolo”.