Crema News - "Mi volevano fucilare"

Ripalta Cremasca, 16 febbraio 2020

La storia di Attilio Uggé è simile a molte altre vissute nel periodo bellico. Lui ha avuto la fortuna di scampare a una condanna a morte, sopravvivere alla prigione, risorgere dalle macerie della guerra e, adesso a 95 anni, far pace con la città dove lo avevano condannato e dove lo volevano morto.

"Sono tornato a Chiavari, dove venni condannato nel 1945 - racconta un lucidissimo signor Attilio - lo scorso anno, grazie a una gita organizzata dal comune di Ripalta Cremasca. Lì mi sono fermato a chiacchierare con alcune persone in un bar e ho raccontato loro che io proprio a Chiavari ho rischiato la pelle. Ero stato catturato e portato davanti al giudice come disertore. Di solito la condanna era la fucilazione, ma quel giorno il magistrato fu clemente e mi condannò a 24 anni di galera. Ma che di quella condanna non vi era traccia e dopo la liberazione, nessuno mi aveva creduto. E, pensate un po', chi mi stava ascoltando? Marco Branchetti che sa dove c'è l'archivio storico del tribunale di guerra che mi aveva giudicato. Branchetti si offre di andare a cercare le carte del processo, va da Giorgio Viarengo, che le custodisce e in breve trovano la storia del processo".

Attilio Uggé è un giovane alpino della brigata Monterosa. A Borgo S. Dalmazzo, nel settembre del '44, fugge con altri militari e si unisce ai partigiani. Incontra i tedeschi e fugge di nuovo, arrivando a Crema per Natale. Ma ai primi di gennaio viene preso dai fascisti e portato a Chiavari per essere processato come disertore. Il Pm chiede 27 anni di galera, ma l'avvocato d'ufficio Emilio Fumò ottiene uno sconto e Attilio viene condannato a 24 anni. "Ho fatto qualche settimana di galera, poi c'è stata la liberazione. Il problema che è sorto è che quel processo e relativa condanna non vennero mai trovati. Per questo motivo sono stato costretto a rifare il servizio militare: altri 17 mesi sotto le armi. Ritrovare le carte del processo mi ha dato giustizia e fatto far pace con Chiavari. Ringrazio Viarengo e Branchetti che mi hanno aiutato".

La soluzione all’enigma del processo mai esistito è arrivata la scorsa settimana, quando Branchetti ha chiamato Uggé per dirgli che i documenti erano stati trovati e così il soldato del processo fantasma ha potuto, finalmente, dimostrare che quel che raccontava era vero e documentato.


Nella foto, Marisa Uggé con la figlia Silvia, Attilio Uggé e Marco Branchetti