Crema, 03 luglio 2016

XIV Ordinaria

La Parola: Is 66,10-14 Sal 65 Gal 6,14-18 Lc 10,1-12.17-20:

Son passati circa duemila anni, ma non sembra cambiata la situazione: la messe è molta ma gli operai sono pochi. Anche se Gesù ne invia ben 72, le coppie non bastano certo a diffondere l’annuncio del Regno in tutto il mondo. Dobbiamo poi riconoscere che la parola di Gesù sembra ancora più attuale ai nostri giorni. Ora il mondo è sempre più connesso e riusciamo a conoscere in tempo reale molto di quel che succede, anche negli angoli più sperduti del pianeta, e ci rendiamo sempre più consapevoli di quanti ancora non conoscono il vangelo. La nostra opulenza e sazietà si rivela anche in questo possesso sterile del messaggio di salvezza. Spesso pensiamo solo al nostro benessere, anche a quello spirituale, senza preoccuparci di diffondere la presenza del regno e non tanto perché impauriti dai lupi ma perché contenti di star tranquilli nei nostri ovili, protetti e ricchi di tutto quanto ci serve e ci avanza. Ma la richiesta di Gesù è pressante e non si nasconde in formule dolciastre o, diremmo noi, ‘politicamente corrette’. Lui sa bene che l’annuncio della pace in un mondo lacerato da discordie e guerre è una gran necessità ma rischia proprio di essere rifiutato. Non si tratta di diffondere un falso buonismo legato a qualche generico gesto di carità o accoglienza. Quando Gesù parla di città intere che accolgono o rifiutano il suo messaggio, intende proprio riferirsi a tutto il complesso della società, con le proprie tradizioni , la propria civiltà, le leggi, le situazioni politiche ed economiche che devono confrontarsi con l’annuncio del vangelo. Subito ci rendiamo conto che non dobbiamo andare lontano per trovare ambienti di vita che han bisogno dell’annuncio di pace del vangelo. Anche la nostra società ha perso quel tessuto cristiano che permetteva una accoglienza quasi connaturale della parola di Gesù, compresa come la motivazione condivisa delle scelte personali e comunitarie volte al bene comune. Non posiamo illuderci di salvarci da soli, contenti perché i nostri nomi sono scritti nei cieli. Anzi questo riconoscimento da parte del Signore lo avremo solo se davvero, come i settantadue discepoli, avremo cercato di diffondere nell’intera società il seme del regno di Dio. Pronti anche ad incassare un rifiuto ma sempre decisi a ricostruire, a partire dai nostri ambienti di vita, la ricchezza del tessuto cristiano della nostra civiltà.

Nella foto, don Natale