Crema News - Perché il clima

Crema, 18 marzo 2020

(piero carelli) Mi permetto di rompere questo lungo, lunghissimo e triste silenzio per condividere con voi un abstract del libro del prof. Stefano Caserini, il relatore che ha aperto il nostro corso. In questi giorni ho avuto modo di leggerlo e ne ho fatto una sintesi, sulla base, naturalmente, dei miei strumenti di lettura.

Ho indicato anche le fonti per chi intendesse trovare le argomentazioni che l'autore contrappone ai negazionisti, 

So bene che siamo tutti presi e preoccupati dalla... peste del nostro tempo, ma forse questa stagione ci insegnerà molte cose, anche a comportarci in modo da contenere le emissioni di gas serra (mediante, per esempio, lo smart working che ridurrà i trasporti e quindi l'inquinamento).


Stefano Cesarini, IL CLIMA È (già) CAMBIATO


Nove buone notizie sul cambiamento climatico

 

La Terra non è in pericolo


Esiste da oltre 4 miliardi di anni. Ha fatto a meno di noi per miliardi di anni e può farne ancora a meno.


Lo sappiamo

 

I dinosauri si sono estinti, ma non sapevano cosa stesse loro accadendo.

Noi, invece, sappiamo bene che cosa ci sta accadendo.


L’asteroide siamo noi


Il pericolo viene dal sottosuolo: i combustibili fossil che noi estraiamo e bruciamo per produrre energia.

In altre parole, l’asteroide siamo noi, il che è un vantaggio notevole.


Un merito che ci riconosceranno centinaia di generazioni future


I livelli di gas serra che abbiamo emesso nell’atmosfera – livelli che non si registravano da tre milioni di anni – impediranno per secoli una nuova glaciazione (il nostro pianeta ha avuto un alternarsi di periodi caldi e di periodi freddi per cause astronomiche, in particolare per l’eccentricità dell’ellisse dell’orbita della Terra intorno al Sole e per l’inclinazione dell’asse di rotazione).

Le future generazioni ce ne riconosceranno il merito.


In ritirata


I negazionisti sono in ritirata. Solo negli Stati Uniti sono ancora forti, grazie ai finanziamenti delle lobby del carbone e del petrolio (chi intendesse conoscere le argomentazioni che Stefano Caserini contrappone alle tesi dei negazionisti, possono trovarle in climalteranti.it e sul numero di MicroMega del 2/2020).


Un traguardo non utopistico


Il traguardo di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra entro metà del secolo e di azzerarle nei decenni successivi è del tutto raggiungibile.

La transizione, è vero, richiede ingenti capitali (almeno 320.000 miliardi di dollari), ma una parte cospicua di questi (270.000 miliardi) servirebbe comunque per il normale ricambio delle infrastrutture energetiche; i 50.000 miliardi previsti in più consentirebbero un risparmio di cifre maggiori in quanto non sarebbe più necessario l’acquisto di combustibili e carburanti.

Che fare? Smettere di costruire centrali termoelettriche a carbone che risultano tra l’altro non più vantaggiose.

Nel periodo di transizione è conveniente costruire centrali termoelettriche a gas perché a parità di energia prodotta emettono circa la metà di gas serra, ed emettono anche molti meno inquinanti dannosi per la salute.

Dove è possibile, è preferibile passare subito alle fonti rinnovabili. I pannelli solari in pochi decenni hanno accresciuto a dismisura l’efficienza (costano un decimo rispetto a 10 anni fa) e occupano un terzo in meno di spazio. L’energia generata da essi, poi, è già competitiva con quella fossile. Competitiva, laddove c’è un buon vento, è pure l’energia eolica.

Si tenga presente che ridurre oggi anidride carbonica significa ridurre il riscaldamento globale per i prossimi decenni, perfino secoli e millenni (l’anidride carbonica, infatti, ha un tempo di permanenza molto lungo; minore è invece la durata nell’atmosfera del metano e del black carbon/fuliggine).

Interventi di forestazione su larga scala sono di grande utilità perché riassorbono il carbonio liberato in qualche millennio di deforestazione e favoriscono la protezione dei suoli e della biodiversità, ma non è il caso di sopravvalutarli in quanto l’aumento di CO2 in atmosfera è dato dal carbonio fossile che le foreste del pianeta potranno assorbire solo in parte.

Non basta rottamare il nostro sistema energetico fossile: occore sottrarre dall’atmosfera la quantità di CO2 che è compatibile con il nostro obiettivo e questa è la parte difficile del lavoro (sono in corso di sperimentazione diverse metodologie). Una volta catturata, poi, si dovrà trovare un posto dove collocarla.

È il caso di ricordare che i combustibili fossili sono oggi ancora molto usati perché hanno un prezzo basso e hanno un prezzo basso perché godono di ingenti incentivi pubblici (300 miliardi di dollari a livello globale).

Un disincentivo potrebbe essere la carbon tax sulla base di un principio sacrosanto: chi inquina, paga.

Un disincentivo può venire anche da noi nella misura in cui disinvestiamo i nostri risparmi dalle società che costruiscono miniere, pozzi petroliferi, centrali termoelettriche a carbone.

È fondamentale, poi, gestire una just transition, gestire cioè la transizione spostando i posti di lavoro dai settori legati ai combustibili fossili a quelli del nuovo sistema energetico, in modo da non bruciare posti di lavoro per nessuno.


Conviene


Il sistema energetico attuale è terribilmente inefficiente: nelle centrali termoelettriche vengono sprecati due terzi dell’energia contenuta nel carbone, tre quinti di quella del petrolio e metà di quella del gas.

Inoltre, molte azioni che fanno bene al clima, offrono vantaggi sia immediati che nel medio e lungo termine:

·      si risparmia nella bolletta elettrica,

·      si riduce l’emissione di sostanze nocive per la salute pubblica e la vegetazione come le polveri sottili, gli ossidi di azoto e di solfuro, il monsossido di carbonio;

·      di conseguenza ci saranno meno malati, meno morti premature, si perderanno meno giornate lavorative per le malattie respiratorie e quindi si avranno meno spese sanitarie;

·      ci saranno meno morti per le guerre che hanno come causa principale l’accaparramento dei combustibili fossili pensiamo, ad esempio, alla guerra in Irak che è durata dal 2003 al 2011).


Abbiamo giustificazioni


I più non avvertono la consapevolezza di dover prendere oggi decisioni che riguardano le generazioni future. E poi è diffusa la convinzione che in futuro troveranno le soluzioni adeguate.

La nostra morale comune è inadeguata ad affrontare problemi che hanno a che vedere con tempi così lunghi. È difficile, infine, da comprendere per noi l’idea che il nostro attuale stile di vita lascerà una traccia che durerà per millenni.


Segnali confortanti


L’accordo di Parigi è solo uno dei segnali arrivati che mostrano che il clima dei negoziati è cambiato (il periodo dei tentennamenti è finito).

Altri segnali provengono

1) dalle regioni,

2) dai Comuni,

3) dalle aziende,

4) dalle Ong,

5) dallo stesso papa Francesco (si veda la sua Laudato si’),

6) dalla finanza,

7) dall’Unione europea che ha lanciato un piano ambizioso che prevede il raggiungimento dell’obiettivo della neutralità climatica nel 2050.

Sempre più sta maturando l’idea che sia necessario cambiare radicalmete modello economico: per ottenere la giustizia climatica e far considerare concretamente il clima come bene comune è necessario sfidare le strutture di potere dominanti, i privilegi acquisiti (non basta la conversione morale, non basta avere ragione per ridurre le emissioni di anidride carbonica).

Un dato pare certo: l’impegno politico vale di più del singolo comportamento.

Così scrive, provocatoriamente, il filosofo Sinnott-Armstrong: “è meglio godersi la gita domenicale al volante di un SUV e allo stesso tempo lavorare per cambiare la legge in modo da rendere illegale la gita domenicale con il SUV”.


Nella foto, Stefano Caserini