Crema News - Vescovo da tre anni, ma momento difficile

Crema, 20 marzo 2020

Carissimi fratelli e sorelle di questa Chiesa di Crema, mi rivolgo prima di tutto a voi, mentre siamo ancora nel pieno dell’emergenza sanitaria CoViD-19, ma col desiderio di raggiungere con queste mie parole, e anche attraverso di voi, tutti coloro che vivono nel territorio della nostra diocesi, compresi quanti non si riconoscono nella vita della Chiesa.

In questo terzo anniversario dalla mia ordinazione episcopale, vissuto in un momento così difficile per tutti, sento rivolta a me, come compito, la parola di Dio al profeta: «Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio» (Is 40, 1); e anche la parola di Paolo ai suoi cristiani di Corinto: «Dio ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2Cor 1, 4). Sento la responsabilità di offrirvi una parola di consolazione, ma non solo: perché la «consolazione» di cui parlano le Scritture racchiude molte cose.


1. È senz’altro, in primo luogo, appunto consolazione. Ne abbiamo tutti bisogno; e dirò che tra le immagini che mi scorrono davanti in questi giorni, mi colpiscono soprattutto quelle in cui si vedono medici, infermieri, operatori sanitari di ogni genere in evidente affaticamento, con qualcuno che offre loro gesti di consolazione.

Per il credente, Dio è senz’altro la sorgente di ogni consolazione: nella preghiera, nell’ascolto della sua Parola, anche nel silenzio che grava in questi giorni sulle nostre vie e piazze, è possibile percepire l’eco della sua consolazione.

Ma in questi giorni ci scopriamo forse anche capaci di essere noi stessi strumento della consolazione di Dio: verso i malati e verso chi li cura; verso le famiglie duramente messe alla prova dall’emergenza; verso le persone sole e anziane, nelle proprie case o nelle residenze per anziani. Stiamo scoprendo, o riscoprendo, tanti modi anche originali di offrire questa consolazione: sono convinto che lo Spirito Santo, il grande Consolatore (Paraclito), arricchirà ancora la nostra fantasia e ci farà scoprire vie nuove.

Un pensiero particolare va alle famiglie colpite dalla morte di una persona cara, spesso con l’impossibilità di dire e ascoltare un’ultima parola, e di compiere quei gesti del lutto che sono così importanti per noi. Ringrazio tutti i preti per essere, come possono, strumenti della consolazione di Dio in questa situazione così difficile.


2. La «consolazione» di cui parla Paolo significa anche esortazione. Anch’io vorrei esortare tutti in primo luogo a mantenere salda la fiducia in Dio. Lo dico con le parole del Salmo: «Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri, da ora e per sempre» (Sal 121, 8). La custodia che Dio promette alla nostra vita non è una specie di scudo spaziale che ci mette al riparo da ogni rischio. È piuttosto la fiducia che Dio non ci abbandona, qualsiasi sentiero ci sia chiesto di attraversare, facile o difficile, in discesa o in salita, anche la più ardua che ci sia.

Mi permetto di esortarvi a cercare le forme della preghiera e dell’incontro con Dio nella vita in casa, in famiglia o da soli. Non «appiattiamoci» soltanto sull’aiuto straordinario che ci viene dai mezzi di comunicazione. Cerchiamo lo spazio di un silenzio autentico, le forme anche semplici della preghiera condivisa in casa. I salmi, che normalmente ci sembrano lontani, diventano in questi giorni preghiera attualissima. Il Vangelo, letto con fede, è autentico incontro con il Signore Gesù: anche quando ci sembra di non capirlo. Persino Maria e Giuseppe – ce lo ricorda oggi il vangelo (cf. Lc 2, 50) – non sempre capivano il loro Figlio divino… ma lo ascoltavano con fede e pazienza (cf. v. 51).

Esorto a praticare e custodire la cura reciproca che in questi giorni stiamo scoprendo come sempre più necessaria per il bene e la vita di tutti. Dalle piccole precauzioni quotidiane all’accettazione paziente delle limitazioni che ci costano di più; dal ricordarsi di una chiamata alla persona che sappiamo più isolata o alla famiglia dove ci sono persone con disabilità, ai gesti di carità quotidiana – portare a casa la spesa per chi non può uscire, non rinunciare a donare il sangue, provvedere a chi manca del necessario per vivere (perché non è che queste povertà siano scomparse!)… sono davvero tante le possibili espressioni di sostegno e aiuto che impariamo a scambiarci l’uno verso l’altro.

Riprendo ancora (l’ho già fatto nelle settimane scorse) l’esortazione di Paolo che, guardando all’esempio di Gesù Cristo, e ricordando come la carità «non cerca il proprio interesse» (1Cor 13, 5), dice ai suoi cristiani: «Nessuno cerchi il proprio interesse, ma quello degli altri» (1Cor 10, 24; Fil 2, 4).


3. La «consolazione» biblica, finalmente, significa incoraggiamento. Il vangelo di Matteo racconta che i discepoli, in mezzo al lago di Galilea, di notte, mentre la barca era agitata dalle onde, intravedono qualcuno venire verso di loro e gridano di paura, finché li raggiunge la parola di Gesù: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mt 14, 27).

In queste settimane siamo anche noi su quella barca, in mezzo a quel lago con le acque agitate, nella notte. Lo siamo noi credenti insieme con tutti gli altri, partecipi dello stesso destino. Per noi, per loro, per tutti, ci è chiesto di essere uomini e donne di speranza, uomini e donne della Pasqua che ci aspetta.

Ascoltiamo il Signore Gesù, lui che ha attraversato il mare del fallimento e della morte, che ci viene incontro come il Vivente, il risorto, e ancora ci dice: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Lo dice a noi, che crediamo in lui, morto e risorto, perché diventiamo capaci di dirlo a tutti. Questo è il nostro modo, da cristiani, di dire: «Andrà tutto bene».

A tutti voi, miei fratelli e sorelle nella fede, a tutti voi miei confratelli preti, forse avviliti da un senso di impotenza, «giro» le parole del profeta: «Consolate, consolate il mio popolo», che è anche il nostro popolo, facendogli coraggio con la speranza che viene dalla Pasqua del Signore.

E grazie a tutti voi anche per l’incoraggiamento, il sostegno, la benevolenza che avete verso di me, e di cui mi giungono testimonianze toccanti e immeritate: pregate ancora per me, se potete.


Quasi certamente, quest’anno non potremo celebrare la Settimana santa e la Pasqua secondo le nostre abitudini. Seguiamo l’evolversi della situazione con trepidazione e fiducia, ma anche disponibili a questo fortissimo sacrificio.

Lo dico già da adesso, perché possiamo arrivare preparati a questa eventualità e a celebrare comunque la Pasqua, quali che siano le condizioni concrete del nostro Paese fra tre settimane. Celebrare la Pasqua non significa ripetere dei riti, ma unirsi nella fede al Signore Gesù nel suo passaggio da morte a vita. Questo è il «passaggio pasquale» al quale ci stiamo preparando – certo anche «aiutati» imprevedibilmente dalla crisi che stiamo attraversando.

Ci dia il Signore la grazia e la gioia di prepararci bene e di vivere la sua Pasqua, ed essere così segno di speranza per tutti, specialmente in quest’ora di fatica e smarrimento. La Vergine Madre, san Giuseppe suo sposo, san Pantaleone e il beato Alfredo Cremonesi, martiri, intercedano per noi.

Dio vi benedica tutti!


Crema, 19 marzo 2020 Solennità di S. Giuseppe, sposo della Vergine nel terzo anniversario dell’Ordinazione episcopale


+Daniele Gianotti vescovo (nella foto)