Crema News - Green economy, prima lezione

Crema, 16 febbraio 2020

(piero carelli) Green economy, prima lezione, per chi non è riuscito a presenziare e per chi è interessato all'argomento.


Quella ambientale non è più una questione dei soli ambientalisti. Ciò poteva essere vero fino a una trentina di anni fa, ma non lo è più oggi. E questa è una buona notizia.

La sensibilità nel frattempo è cresciuta ed è cresciuta molto prima del fenomeno Greta (che pure sta svolgendo un prezioso ed encomiabile ruolo): oggi in campo abbiamo colossi quali quell’unione di Stati che è l’Unione europea, la Banca mondiale, il FMI, grandi aziende. E, naturalmente, l’Onu con i suoi periodici rapporti affidati agli scienziati.

La scienza, è vero, non ha certezze su tutto, ma i climatologi su alcuni punti sono pressoché unanimi: il pianeta è malato e lo è a causa dell’immissione nell’atmosfera di gas provenienti dalla combustione di combustibili fossili (petrolio e gas), nonché dal metano generato dall’allevamento dei bovini (in particolare) e dal protossido di azoto. Complice la deforestazione: meno alberi ci sono, meno possibilità vi è di assorbire anidride carbonica. Sono i gas intrappolati nell’atmsofera che producono l’effetto-serra e producono il rialzo della temperatura media globale con il conseguente scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento dei livelli del mare.

Stiamo correndo rischi mortali sia per la sopravvivenza della specie umana sia per la sorte del pianeta. Non è il caso di cadere nella tentazione del catastrofismo, ma una cosa è certa: le decisioni politiche (come i comportamenti dei singoli uomini) di oggi non avranno un peso solo per le prossime generazioni, ma anche per il futuro dell’umanità e della Terra per alcune migliaia di anni. Immensa quindi la nostra responsabilità, in primis dei politici che sono abituati ad avere un corto respiro e ad occuparsi del “qui” e dell’“ora”.

Scenari apocalittici non sono all’ordine del giorno, ma tutto potrà accadere: anche l’innalzamento dei mari di una decina di metri con l’inevitabile fuga (pensiamo al Bangladesh) di decine di milioni di uomini dalle loro attuali abitazioni.

Non si tratta di agire e di agire in fretta sotto la pressione della “paura” (la paura non è in grado di mobilitare la gente, come del resto non la mobilita quanto potrà accadere alle generazioni dei secoli a venire), ma di muoverci cogliendo i “benefici” della decarbonizzazione: già oggi l’energia da fonti rinnovabili (eolico e solare, in primo luogo) sta diventando sempre più competitiva e ci consente non solo di vivere una migliore qualità della vita - inclusa, naturalmente, la salute – ma anche di emanciparci dalla costosa e per certi aspetti rischiosa dipendenza energetica da Paesi di dubbia affidabilità politica.

Pensiamo ai danni incalcolabili, già, oggi, di eventi climatici devastanti, degli incendi crescenti (quelli dell’Australia hanno, tra l’altro, mandato a morte milioni e milioni di animali).

Pensiamo a ciò che potrebbe accadere con la desertificazione di ampie aree dell’Africa che, inevitabilmente, andrà ad aggiungere cause alla fuga degli africani verso l’Europa.

Certo, per muoverci sia a livello politico che di singoli cittadini, abbiamo bisogno di liberarci dalle tante bufale dei negazionisti che impazzano sui social e non solo (l’uomo non c’entra, ma c’entrano il sole i e vulcani, il clima è sempre cambiato nel tempo,…) e liberarci pure da certi atteggiamenti superficiali (come se bastasse una rinfrescata di verde) e affrontare il problema con serietà e responsabilità, senza dimenticare che l’Italia si è già scaldata più del doppio rispetto alla media globale.

E dobbiamo muoverci in più svariati ambiti: dal risparmio energetico nei nostri edifici (con la preoccupazione di non dare incentivi fiscali solo a chi può già permettersi di effettuare determinati interventi o acquisti) al ricorso crescente all’eolico (nei Paesi del Nord Europa le pale eoliche vengono ancorate sul fondo del mare o addirittura su piattaforme galleggianti con dei contrappesi) e al solare.

Più che partire da zero – l’Europa in particolare è già all’avanguardia nel mondo -, dobbiamo “accelerare” il nostro cammino verso la decarbonizzazione: è la stessa Unione europea che ha già fissato il traguardo tra appena tre decenni.

La sfida che abbiamo di fronte non è tanto tecnologica, ma di una “giusta transizione”: occorre, ad esempio, che gli incentivi fiscali non vadano ad esclusivo vantaggio di chi, avendo disponibilità finanziarie, può permettersi di effettuare interventi e acquisti rispettosi dell’ambiente.


Stefano Caserini